Intervista di Francesca Gaudenzi, tratta da strumentimusicalinews.it. Ipnotizzata dalla profondità di quel suono cupo e viscerale, Caterina Crucitti si è appassionata al basso quando era bambina. Oggi, all’età di ventisette anni, è una delle bassiste più attive sulla scena jazz milanese.


Ha già maturato una certa esperienza come insegnante, presso il Centro Professione Musica di Milano, e ha le idee molto chiare su quale sia la strada migliore per il professionismo: educazione all’ascolto, moltissimo studio e un pizzico di fortuna. «Il basso è uno strumento molto simile a me.


Gioca un ruolo fondamentale e comunque non emerge, tende a essere il collante nell’insieme sonoro ed è molto importante dal punto di vista ritmico.


Il bisogno di imparare a suonarlo è stato un istinto nato da dentro, qualcosa che è cresciuto e cresce ancora insieme a me».


Il primo contatto di Caterina con il mondo del basso è avvenuto quando lei era poco più di una bambina, durante la lezione di Enzo Baldessarro, un bassista considerato ancora oggi dalla nostra protagonista uno dei suoi principali punti di riferimento: «Fu Enzo a mettermi per la prima volta un basso tra le braccia, a farmi suonare e a stabilire che avrei potuto fare quel mestiere da grande, ma è stato solo il primo di tanti maestri, vicini e lontani».


Caterina, nonostante la sua giovane età è riuscita a emergere in un ambito come quello del jazz che vede spesso protagonisti musicisti che hanno alle spalle una certa esperienza, cosa che potrebbe demotivare chiunque, ma che per lei ha costituito un forte stimolo ad andare avanti. «Mi sono sempre confrontata con persone che avevano un certo livello di conoscenza e questo mi ha portata a pretendere da me cose che non era obiettivamente facile raggiungere. Inizialmente tendevo a fare confronti e a sminuirmi: mi riascoltavo dopo l’esecuzione di un brano, poi ascoltavo lo stesso brano eseguito da un mio collega e sentivo le differenze. È da lì che è nato lo stimolo.


Ciò che bisogna tenere a mente è che ci sarà sempre qualcuno da cui imparare e io ho avuto la fortuna di rapportarmi con maestri del calibro di Massimo Moriconi, Attilio Zanchi, Gigi Cifarelli, Paolo Costa, Lorenzo Poli, Dino D’Autorio e Tonino De Sensi, mentre uno dei miei più alti punti di riferimento è da sempre Dario Deidda.


Per quanto riguarda l’ispirazione posso dire che la folgorazione vera e propria è arrivata con Faso, bassista di Elio e le Storie Tese, Jaco Pastorius e che ancora oggi considero vere e proprie fonti bassisti come Richard Bona, Linley Marthe e Me’Shell Ndegeocello».


Quando si lavora in ambito musicale è normale sviluppare e coltivare delle preferenze, ma è fondamentale avere la capacità di scovare la bellezza in ogni genere. «Se ti fermi a ciò che ti propongono diventi quello che ti consigliano di diventare, io invece cerco di dare l’opportunità di conoscere tutto. Io amo il jazz, il soul, la fusion e il funk ma adoro anche il prog, il rock, la musica classica e il pop.


Credo che un musicista non debba avere il limite del genere. Quello che vorrei insegnare a chi decide di affidarsi a me è l’importanza di un’ampia cultura musicale.


Mi sono accorta che i ragazzi si basano molto sulla teoria e io, che sono un’autodidatta, ritengo che a una buona preparazione tecnica sia fondamentale affiancare l’istinto.


Non bisogna perdere di vista l’aspetto “viscerale” della musica e l’ascolto continuo di tutto quello che viene proposto aiuta a sviluppare questo istinto. Credo che sia una situazione paradossale, vista l’offerta che c’è oggi, ma sembra quasi che i ragazzi abbiano perso la curiosità».


Oltre al ruolo di insegnante Caterina ha sviluppato la sua professione in rami differenti. Attualmente sta seguendo il corso di musica jazz presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano ed è diventata endorser per i marchi Yamaha, Mark Bass e IQS: «Il mio primo basso è stato uno Yamaha TRB6P e al momento uso un BB2024X, che è un 4 corde molto adatto al genere che suono.


Io sono stata sempre una “seicordista” ma adesso mi trovo a eliminare corde, man mano che passa il tempo. Il mio è un basso passivo e molto versatile, nel senso che si presta a qualsiasi genere. È molto equilibrato su tutti i registri e ha poche regolazioni e questa è una cosa che a me piace molto.


Il suono devo tirarlo fuori io, non ci sono mille pomelli da regolare.


In questo modo ho la possibilità di lavorarci quando mi riascolto, capire dove sbaglio e quali sono i miei punti di forza. La decisione di iscrivermi al Conservatorio nasce da un amore per il jazz partito con il “piede sbagliato”, nel senso che inizialmente lo consideravo noioso.


La passione è arrivata mettendomi alla prova con il basso, quindi voler approfondire questa conoscenza anche dal punto di vista tecnico, è stato naturale». Gran parte del bagaglio cui Caterina può fare riferimento si è accumulato sui palchi delle piccole e grandi realtà milanesi, come la Salumeria della Musica, locali in cui si predilige il jazz, in cui si organizzano jam session, in cui si va con la precisa intenzione di ascoltare musica e questo l’ha portata a confrontarsi più di una volta con grandi professionisti: «Di recente ho suonato con Gigi Cifarelli e attualmente sto avviando nuovi progetti tra cui un trio con il batterista Giovanni Giorgi e Sergio Cocchi, cantante soul, pianista e compositore. Suonare con le persone che stimo di più è una prova continua. Ci sarà sempre qualcosa da imparare e qualcuno disposto a insegnarlo».


La voglia continua di mettersi alla prova è un elemento che unisce molti tra coloro che hanno fatto della musica come professione la propria ragione di vita.


È la consapevolezza di ciò che rappresenta un confronto, il bisogno di mettere in discussione il proprio stile per poterlo affinare: «Penso che la fortuna aiuti, ma che sia fondamentale lavorare. Non risparmiarsi mai. Nel mio caso la scuola migliore sono stati gli altri, il confronto sul campo.


È da quando sono piccola che spendo ogni istante ad ascoltare musica, seguire concerti e analizzare situazioni live e credo che sia necessario avere anche il coraggio di proporsi.


Quando ho cominciato a esibirmi era strano vedere una bassista donna, per di più tanto giovane, che si metteva alla prova a fianco di uomini considerati vere e proprie leggende, ma oggi noto con piacere che molte ragazze decidono di intraprendere questa strada.


C’è da studiare, investire tempo e volontà, ma serve anche autocoscienza e la capacità di conoscere i propri limiti e, nel momento in cui si raggiunge questa consapevolezza, bisogna giocare tutte le proprie carte, farsi avanti alle jam session, registrarsi, riascoltarsi e imparare a giudicarsi nel bene e nel male. Credo che anche questo voglia dire mettersi alla prova: saperlo fare prima di tutto con noi stessi».